Shutter Island

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DiCaprio riflette sotto gli occhi di Ruffalo.

★★★
Questo viaggio di due agenti federali in un manicomio isolano/isolato rivela due verità sempre più cristalline.

Primo: DiCaprio è come il vino: migliora con il tempo. Le fattezze efebiche da belloccio e dannato (che per anni ne ha  minato la credibilità allorché si cimentava in parti più “impegnative”) lasciano sempre più il passo a una maturità di lineamenti alla James Cagney che non potrà che giovare alla sua carriera.

Secondo: Scorsese è un autore ben più maturo di quanto non appaia a uno sguardo superficiale. In un film in cui tutto è citazione (sceneggiatura, regia, musiche, montaggio, costumi, persino recitazione) Martin mette del suo non tanto nel visuale – in questo senso la sua mano è appena percepibile – quanto nel concettuale. Così una storia di follia criminale, confezionata all’interno di un perfetto thriller noir (la storia è ambientata nel 1954) non diventa solo semplice suspence all’inseguimento di un falcone hammettiano o – peggio – di un McGuffin hitchcockiano. Diventa meditazione sulla vita, la colpa, il rimorso, la verità, la dignità umana.

Scorsese segue con partecipazione le vicende degli agenti federali, ognuno dei due con una storia e un ruolo ben precisi. Non si pone, come lo era Hithcock, accanto allo spettatore. Non è neppure come Kubrick, dietro un vetro a osservare attento. Scorsese è accanto ai suoi personaggi. Ecco perché la sua citazione diventa – paradossalmente – autoriale. E un’isola – luogo usato e abusato in millenni di letteratura e un secolo di cinema – può tramutarsi in qualcosa di nuovo. Nuovo in quanto metafora assolutamente personale, in cui ciascuno può trovare i propri fantasmi, come in una pièce shakespeariana.

Il romanzo di Dennis Lehane già pesca a piene mani in una cinematografia che per i manicomi sembra avere un’attrazione morbosa a periodi alterni. L’adattamento per il grande schermo, affidato a Laeta Kalogridis (Alexander, I Guardiani della Notte), riesce a mixare degnamente le esigenze del poliziesco con quelle del drammatico. Registriamo inoltre un gradevole understatement nel dipanare il mistero dell’isola. Nulla è veramente inaspettato, ma ogni rivelazione arriva al momento giusto e col giusto tono. Ricordando molto Mamet.

Oltre all’eccellente DiCaprio e all’impeccabile sir Ben Kingsley, notiamo un convincente Mark Ruffalo e una davvero brava Michelle “Dawson’s Creek” Williams. Prezioso il cammeo di Max von Sydow.
Ma il personaggio più riuscito è un altro: la musica. Un insieme di melodie e disfonie composito e ricco di suggestioni, che va da Mahler all’elettronica, con un eclettismo che ricorda (ancora) Kubrick e sonorità che in più tratti richiamano il Bernard Hermann di Hitchcock (Hermann che peraltro aveva già lavorato per Scorsese in Taxi Driver). Davvero pregevole.

Teddy Daniels (al suo collega Chuck Aule): “Ce ne andremo da questa maledetta isola. Tutti e due.”

Titolo originale: Shutter Island
Anno: 2010
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: Laeta Kalogridis (screenplay), Dennis Lehane (novel)
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Max von Sydow, Michelle Williams, Emily Mortimer
Durata: 138′

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mercoledì 17 marzo 2010


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