Harry vs. Edward

di | Category: OrientACMEnti

Robert Pattinson e Daniel Radcliffe. Confronto aperto.

La curiosa circostanza dell’incontro tra i protagonisti di due tra le saghe più in voga del momento (alludiamo ovviamente a Harry PotterTwilight) sul set di Harry Potter e il Calice di Fuoco ci incoraggia a ipotizzare un confronto.

Potrebbe risultare ardito tracciare un simile parallelismo. Ardito per la disparità di fortune, tanto letterarie quanto cinematografiche. Non così ardito quanto a somiglianza di tematiche (fantasy) e alla comune circostanza di due autrici (al femminile) in grado di conquistare folle come poche altre scrittrici del passato.

Quel che interessa trattare in questa sede è però solo una questione: perché Harry Potter al cinema “funziona” e Twilight no?

Domanda probabilmente oziosa, considerando le diverse produzioni scese in campo, e il differente “respiro” delle due Opere.
A ben vedere, però, è indubbio quanto Twilight abbia visto la luce in un decennio di piena “vampiromania”, del cui sostentamento ha chiaramente contribuito. Eppure ai tanti e tanti lettori non sono corrisposti tanti e tanti spettatori.

Colpa degli attori? Forse. Della regia? Sicuramente. Ma anche d’altro.

Joanne K. Rowling.

Il problema è alla radice, e sarebbe semplicistico ridurlo a un misero “la Rowling scrive meglio della Meyer”. Al di là delle diverse trame sviluppate, le due scrittrici hanno intenzioni differenti.
J.K. Rowling scrive un romanzo di formazione in un mondo interamente ricreato nei minimi dettagli, con un incedere che sviluppa la personalità dei personaggi attraverso le loro azioni.
Stephenie Meyer predilige uno sguardo riflessivo. La sua è storia di una persona (Bella) attorno alla quale ruota un mondo fantastico a lei indissolubilmente legato. Non c’è crescita, solo successione di percezioni, lungo fatti che per lo più “capitano” anziché essere “fatti capitare”.

Un punto a favore di Harry, un punto a sfavore di Edward: costruire un mondo come quello della Rowling, al cinema significa vederlo. E poter “vedere” paga. In più, le avventure del maghetto e dei suoi amici sono tante e tali lungo sette libri da rendere gli sceneggiatori più obbligati a tagliare che a interpretare.
Twilight è una saga dalle location ordinarie, persino lugubri. Nei film, poi – come peraltro nei libri – “succede” poco. E sembra curioso come la protagonista abbia poco a che vedere con l’agere (agire) cui la parola fa riferimento.

Altra sostanziale differenza: la voce.
Harry Potter è un unico, grande racconto corale, in cui un narratore onnisciente presenta situazioni e personaggi.
Twilight è essenzialmente un racconto in prima persona. Una sola voce narrante, una sola percezione, un solo sguardo che osserva il mondo: quello di Bella. Quanto sia importante questo approccio lo dimostra il fatto che la Meyer, laddove ha avuto bisogno di coprire situazioni al di fuori dello sguardo (e della conoscenza) di Bella, ha alternato alla sua voce quella di Jacob. Due voci narranti per un solo sguardo alla volta. Ancora un tassello: il progetto cui l’autrice sta attualmente lavorando è tra i più interessanti, letterariamente parlando. Si chiama Midnight Sun ed è il racconto di Twilight (il primo libro) dal punto di vista di Edward. Di nuovo, punti di vista.

Stephenie Meyer.

E qui il disastro cinematografico è dietro l’angolo. Pochi sono gli autori in grado di rappresentare efficacemente un monologo interiore. Occorre un lavoro che esula dal semplice adattamento. Pagine e pagine di dubbi possono essere riassunte in uno sguardo, un gesto, o in una voce fuori campo di un certo peso letterario. Non se n’esce.
Pensare che Twilight avrebbe sfondato solo per il casting di modelli, il product placement di auto di lusso o qualche canzone alla moda messa in sottofondo è semplicemente patetico. Peccato che sia quanto accaduto nei (sinora) due film del franchise. Per non parlare degli abominevoli effetti speciali.
A ulteriore disdoro dei responsabili, le interessanti rivisitazioni fatte dalla Meyer sui grandi miti (questi sì, al 100% cinematografici) di vampiri e lupi mannari vengono liquidate in poche battute recitate senza troppa convinzione. Ed erano la parte migliore dei libri! Un altro punto di svantaggio per Edward.

In conclusione Harry Potter funziona al cinema perché ha una struttura narrativa adatta a diventare kolossal, produzione corale e dall’ampio respiro. Tutti possono immedesimarsi in uno dei tanti protagonisti, tutti possono entrare in quel mondo e sentirsi parte, anche solo per qualche ora, di un affresco che – paradossalmente – tanto ha in comune con la quotidianità.
Twilight è un viaggio personale e più che altro interiore di una ragazza all’interno di sé stessa e del suo rapporto con il proprio “lui”. In fondo, dire che sia un libro che parla di vampiri è corretto quanto dire che Brokeback Mountain è un film che parla di cowboy.
In mano a un autore d’esperienza, con una produzione coraggiosamente minore e una scelta più oculata degli interpreti sarebbe potuto essere un eccellente prodotto di nicchia. E chissà, magari da lì conquistare il pubblico con quel che di più genuino aveva da dire.

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lunedì 22 febbraio 2010


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