La Città Incantata

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★★★★★
“Spirited away”, tradotto in La Città incantata, è stato il miglior Film di animazione del 2003, a giudizio dell’Academy Award. Aveva anche vinto il Leone d’Oro 2002 a Berlino (anche se ex-aequo con Bloody Sunday) e questo stupisce, non tanto per il fatto che siano giunti – in notevole ritardo, a nostro avviso – simili riconoscimenti di prestigio europeo e mondiale ad un anime (un lungometraggio di animazione nipponico), quanto per il fatto che a vincerlo sia stato proprio questo film.
Non certo per la fattura: è splendida.
Non per la regia: è perfetta.
Non per la colonna sonora: è eccellente (a firma, come sempre per i film di Miyazaki, del grande maestro Joe Hisaishi).

Il problema è la storia.
La Città incantata ha la trama meno comprensibile per un occidentale di qualunque altro film di Miyazaki, compreso il delizioso Il mio vicino Totoro, viaggio fantastico nell’universo infantile ambientato ai giorni nostri nella campagna giapponese.

Eppure questo film lascia esterrefatti.
Rappresenta di certo una summa del lavoro pluridecennale di Miyazaki, fondendo insieme, in modo peraltro innovativo, tutti i temi a lui sempre cari: l’amore per la natura, il viaggio, la maturazione di un bambino (in genere una bambina) attraverso il lavoro, l’amicizia, l’amore nella sua forma più alta e poetica, l’elogio dell’ospitalità, del servizio attraverso cui si riscatta la vita propria e altrui (in sintesi, le virtù tipicamente confuciane, con qualcosina in più).

Sen, la bambina che arriva con i genitori alla Città degli Dèi, incarna tutte le eroine miyazakiane: Nausicaa, Sheeta, Satsuki, Kiki, Fio, Mononoke… e le trascende tutte. Il suo “viaggio iniziatico” si muove tra simbologie arcane e umanissime situazioni. I personaggi che le sono attorno sembrano in parte usciti da un film di Kurosawa, in parte da una commedia dell’arte europea.
L’accostamento più istintivo, per un occidentale, viene con “Alice nel Paese delle meraviglie” (soffermandosi sull’ambientazione) e con “Pinocchio” (soffermandosi sullo sviluppo della trama).

In realtà La Città incantata ha molto di più.
Ha soprattutto grazia. La grazia presente in tutti i film di Miyazaki, e che in questo film, in particolare, sprigiona tutto il suo fascino, facendo sì che lo spettatore si senta quasi colpevolmente ignorante. Si avverte il fatto di non comprendere fino in fondo i significati della rappresentazione, ma se ne resta tuttavia mirabilmente attratti.
E probabilmente è l’attrazione estetica che domina, aiutata in questo da una raffinatezza nell’animazione che avevamo solo intravisto ne La Principessa Mononoke e che qui è ben più matura.

Il viaggio di Sen tratta temi importanti, che sarebbe inutile cercare di sviscerare in poche righe. Certo è che se la visione di questo film ha affascinato l’Occidente ciò rappresenta un fatto positivo.
Se il prossimo passo sarà quello di cercare una più profonda comprensione del’universo culturale che lo ha generato avremo – paradossalmente? – assecondato Miyazaki in una delle sue “battaglie culturali” più interessanti, quella che vede la pace come conseguenza di uno sforzo di comprensione, attraverso il superamento dei pregiudizi, senza però per questo rinunciare alla propria posizione e alla propria cultura.

Una battaglia che ci sentiamo di condividere.

Titolo originale: Sen to Chihiro no kamikakushi
Anno: 2001
Regia: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Interpreti: Rumi Hiragi, Miyu Irino, Mari Natsuki, Takashi Naito
Durata: 125’

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venerdì 29 gennaio 2010


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